L’attuale sede della Pinacoteca Provinciale, originariamente era
destinata ad accogliere le malate semiagitate del manicomio e
costituiva uno dei padiglioni della struttura manicomiale da realizzarsi
a cura dell’Ing. Giuseppe Quaroni e dell’Arch. Marcello Piacentini,
entrambi di Roma, per il progetto denominato “Ophelia” vincitori del
concorso badito dalla Deputazione Provinciale di Basilicata nel 1905.
Originale nell’impostazione architettonica e nell’impianto urbanistico,
la struttura manicomiale ideata era chiaramente incentrata su teorie
psichiatriche innovative che privilegiavano stanze per malati, concepite
quasi quali abitazioni, e spazi per lavori manuali (laboratori, colonia
agricola) che potessero favorire il processo di riabilitazione.
Composto di 18 padiglioni, di 1 o 2 piani e collegati da gallerie di
servizio, il complesso architettonico avrebbe avuto locali distinti per
attività, patologia e sesso, secondo le più moderne teorie igieniche ed
ergonomiche e sarebbe sorto nella zona a nord della città (oggi Rione S.
Maria), fuori della città urbana, in un sito già individuato nel 1899 dalla
Deputazione e sopraelevato rispetto alla strada provinciale Potenza-
Melfi-Spinazzola.
Ai piedi del fabbricato destinato alla direzione amministrativa e
sanitaria venne creato un piazzale al livello della strada collegato
lateralmente da due scalinate e da una galleria sotterranea che poi, nel
1934, diventerà galleria espositiva o Museo della Rivoluzione fascista,
meglio noto come “Covo degli Arditi”.
A causa degli alti costi di realizzazione e di varie traversie, si stabilì
che dovessero realizzarsi, al massimo in cinque anni, i padiglioni
essenziali per il funzionamento del manicomio, per completare l’opera
successivamente e in maniera graduale, onde rendere meno gravoso
l’impegno finanziario. Nel 1907 fu posta la prima pietra alla presenza
dell’allora Presidente Bonifacio, in occasione dei festeggiamenti per il
centenario del Capoluogo, ma i lavori iniziarono nel 1910 tra ulteriori
revisioni al progetto e alla spesa, vertenze con i proprietari delle terre
espropriate e con le ditte appaltatrici, carenza di manodopera.
Ormai gli alti costi, lo stravolgimento dell’impianto iniziale e lo scoppio
della I Guerra Mondiale, con la conseguente carenza di alloggi,
contribuirono ad ingenerare nel Consiglio Provinciale la volontà di
cambiare la destinazione dei padiglioni già costruiti.
Nel 1923 la Commissione Reale per l’Amministrazione straordinaria,
subentrata al disciolto Consiglio Provinciale, optava per la
riconversione di sette padiglioni in civili abitazioni. Il nuovo Consiglio
Provinciale prese atto che forse questo sarebbe stato l’unico modo per
non far deperire un patrimonio edilizio già realizzato ed utilizzato fino
ad allora solo come deposito o per grano o per necessità di altri enti.
Fu allora che si decise di trasformare alcuni padiglioni in abitazioni private
e ciò avrebbe determinato un introito certo per le casse della Provincia; un
padiglione fu concesso gratuitamente all’Opera Nazionale del Mezzogiorno
di Don Minozzi, per ospitare gli orfani di guerra; un padiglione fu
attrezzato a Policlinico su richiesta del Prof. Giulio Gianturco, che sperava
di poter realizzare nella zona un Polo sanitario; in un altro trovarono
sistemazione la Scuola elementare e l’Ufficio postale e finalmente anche il
Museo Provinciale, come già stabilito con deliberazione della Deputazione
Provinciale n. 906 del 15.07.1921, poté avere una sede idonea nell’immobile
oggi adibito a Pinacoteca Provinciale.
In esso trovò ospitalità anche la raccolta di quadri curata da Concetto
Valente, allora direttore del Museo e ideatore di un vero e proprio
cenacolo di artisti. Ma di quel patrimonio pittorico ben poco è
rimasto: quadri restaurati sono stati restituiti alle chiese che ne erano
proprietarie in origine, altri sono stati dati in comodato ad Enti diversi,
alla Prefettura; altro materiale pur sopravvissuto ai bombardamenti del
‘43, che colpirono la sede museale, non ha superato i rischi determinati
dall’incuria, dall’abbandono, dalle occupazioni abusive di famiglie senza
tetto, dai continui traslochi.
Quando negli anni ‘70 il Museo fu nuovamente trasferito nel moderno
edificio, appositamente costruito, i locali dell’ex Museo rimasero
inutilizzati.
Per questo, la decisione di destinare l’immobile ormai vuoto alla
conservazione e valorizzazione della produzione artistica del territorio
provinciale e non solo, rappresenta un momento importante per la
collettività tutta, acquista una valenza culturale maggiore, rispetto
a tanti discorsi di preservazione della memoria storica nella nostra
Regione e ben si inserisce in un progetto che è di recupero e riscatto
insieme.
La Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici della
Basilicata, d’intesa con la Provincia di Potenza, ha realizzato pertanto
l’intervento di restauro dell’edificio, ex sede del Museo Provinciale che,
come gli altri fabbricati ancora esistenti e riferibili al “progetto Ophelia”,
costituisce una testimonianza rappresentativa nel quadro urbano
sia per i caratteri stilistici dell’architettura che per l’impostazione
planimetrica originale che ha condizionato lo sviluppo dell’edilizia
in tutto il quartiere di Santa Maria, preservando tutti gli elementi
identificativi dell’architettura del primo Novecento.